Corriere.itBoxe, arti marziali, tecniche di guerra: si moltiplicano i corsi di difesa personale

Mai più vittime: donne e ragazzini imparano a difendersi in strada

Vera, 30 anni: «Dopo due scippi ho detto basta». Boukje, 29 anni: «Bisogna essere capaci di dire no»

01 febbraio 2010

Ketty Areddia

MILANO – Una regola vale per tutti: l’aggressore, per quanto potente sia, non potrà mai allenare collo, occhi e genitali. È nei punti deboli che si deve colpire per farla franca. Per il resto, dalle arti marziali ai metodi di attacco dell’esercito israeliano, le tecniche e i corsi di difesa personale sono diversi tra loro e hanno un successo crescente. Come se nel privato Milano (ma lo stesso succede anche a Roma, Padova e Torino) stesse in assetto da guerra, affilasse le armi. Riguarda le donne, soprattutto – non è più una novità – ma negli ultimi tempi anche i cittadini più piccoli. Sono i genitori a chiedere che i propri figli vengano preparati a non subire le aggressioni e a contrattaccare, davanti a bulli e malintenzionati. Molti istruttori vengono chiamati dagli stessi istituti scolastici e altri creano workshop ad hoc dedicati ai minori.

PERCEZIONE DI INSICUREZZA – «Le richieste di partecipazione ai nostri corsi sono aumentate del triplo – dichiara soddisfatto Roberto Bonomelli, direttore tecnico del centro Difesa Donna di Sesto San Giovanni –. Sarà stata l’attenzione dei media o la presa di coscienza, ma la gente percepisce sempre di più la mancanza di sicurezza nelle città». Bonomelli, maestro di arti marziali e ideatore del metodo Difesa Donna, ogni anno accoglie centinaia di donne nel proprio istituto. «Insegniamo soprattutto a prevenire l’attacco e a intuire che in una strada buia un uomo che da un marciapiede passa all’altro è già un pericolo, che diventa allarme se si fa più vicino. Alzare le mani e gridare con sicurezza “stai lontano” è il primo passo». Ma a volte non basta. Per questo Bonomelli e i suoi istruttori uomini, simulano le aggressioni, perché siano più verosimili. Da qualche anno lo chiamano nelle scuole e ha sempre più richieste da parte dei genitori per i propri figli. Non si rischia di creare allarmismo e fomentare i bambini alla violenza? «Noi stiamo molto attenti. Non parliamo di abusi sessuali o di aggressioni vere e proprie per non spaventarli. L’approccio è soft e vengono accompagnati sempre dagli adulti, ma è evidente che il problema dell’autodifesa è comune», assicura Bonomelli.

UN PUGNO SEMPRE PRONTO – Le storie che stanno dietro alla scelta di «autodifendersi», o almeno di provarci, sono le più varie: Rita, ventenne, di professione grafica, non avrebbe mai pensato di doversi prendere un pugno in pieno volto. Le è successo durante una serata in discoteca. «Ora quando combatto tengo istintivamente quella parte del viso protetta, ma so che è controproducente». Vera, albanese di 30 anni, a Tirana lavorava nel corpo di polizia stradale. Emigrata a Milano ha subito due scippi, uno dei quali con aggressione. «Da quel momento ho deciso di prendere delle precauzioni e ora mi sento più sicura, anche di dire “vattene, non ti conviene”». Boukje, 29 anni, olandese, trova invece il suo corso di difesa personale «un buon modo per acquistare una sicurezza psicologica che in genere mi manca. La capacità di saper dire di no». E stare a spalle diritte e con un pugno sempre pronto a essere sferrato nel punto giusto.

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